In gare come questa, al tifoso virtussino appassionato che ricorda e rivendica giustamente la storia bianconera non possono che tornare alla mente le gesta epiche dei protagonisti che ne hanno edificato il blasone, diventando leggenda:
"In questi ultimi quattro giorni ho conosciuto in profondità lo spirito dello sportivo bolognese. Fino alla settimana scorsa, quando sentivo gente che ricordava i tempi eroici di vent'anni fa, non riuscivo a capire il perché di tanta nostalgia. Io sono uno abituato a guardare sempre avanti e sono straniero, forse per questo non ml rendevo ben conto del mito della "V nera". Domenica a Varese per la prima volta ho capito cosa significhi la fede virtussina, ho capito il sentimento degli sportivi bolognesi per questa bandiera, ho capito quanto grande sia la tradizione cestistica a Bologna. Me ne sono reso conto vedendo cinquecento persone in lacrime a Varese, cinquecento persone che piangevano di gioia per la Virtus. E poi stasera che pubblico meraviglioso! Ho conosciuto tanti ex-giocatori: è bellissimo vedere i virtussini di altri tempi stringersi vicino al virtussini d'adesso, soffrire con loro, gioire con loro. Proprio come una grande famiglia. Adesso ho capito cosa vuol dire aspettare vent'anni"
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E’ il 7 aprile del ‘76, mercoledì, quando la Virtus batte Udine 94-68 e rivince lo scudetto che le mancava da vent’anni. Meglio, lo festeggia al Madison, tra la sua gente. Perchè, in realtà, tutto era già accaduto prima: il 4, domenica. Fu sbancando (82-75) l’arena di Varese, dove non vinceva mai nessuno, che la Sinudyne si cucì in petto il settimo tricolore. Facendo, con pazienza, un altro passo indietro, pochi giorni prima, il giovedì 1, la Mobilgirgi aveva vinto a Ginevra, in finale sul Real Madrid, la sua quinta Coppa dei Campioni: una prova di forza tranciante, tanto che nel suo pezzo di vigilia l’illustre firma d’area lombardo-veneta scrisse che la Virtus poteva espugnare Masnago solo se ne fosse crollato il tetto. Poche ore dopo, l’infelice predizione veniva rinfacciata ad alta voce da uno storico tifoso inerpicatosi fino alla tribuna stampa: un indice che avrebbe voluto essere una clava pendolò più volte fra la cupola intatta e il mento dell’inviato.
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