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Viaggi, è questa la mia vera passione...

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view post Posted on 8/12/2008, 20:31

NYPD

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CITAZIONE (bosforo65 @ 8/12/2008, 20:28)
Matmata, appunto.

Allora posta qualche altre foto di Matmata....
 
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The Virtus King
view post Posted on 8/12/2008, 20:36




CITAZIONE (Franz 68 @ 8/12/2008, 20:31)
CITAZIONE (bosforo65 @ 8/12/2008, 20:28)
Matmata, appunto.

Allora posta qualche altre foto di Matmata....

Ci sono stato anch'io, bello, ti sembra di essere lì con Obi-Wan kenobi... :B):
 
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view post Posted on 8/12/2008, 21:04

NYPD

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CITAZIONE (The Virtus King @ 8/12/2008, 20:36)
CITAZIONE (Franz 68 @ 8/12/2008, 20:31)
Allora posta qualche altre foto di Matmata....

Ci sono stato anch'io, bello, ti sembra di essere lì con Obi-Wan kenobi... :B):

Avrai visto Bosforo con un saio.... :lol:
 
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julius6
view post Posted on 12/12/2008, 17:42




Aggiungo un altro diario di viaggio.
Fu un viaggio naturalistico in Sudafrica fatto nell'estate del 2002.
Consiglio moltissimo questo posto a chi piace la natura, gli spazi aperti, gli animali.


SUDAFRICA 2002

Un volo verso orizzonti di spazi sconfinati, fuga sulla cresta di un’onda che si materializza dagli abissi, animali senza più catene, urla di umani feriti nella caccia, silenziose radure solcate dalle orme di felini, gemiti di venti polari che solcano i mari, l’ebbrezza di riti ancestrali affogati nella modernità: forse erano queste le cose che avevo in mente quando ho scelto la destinazione di questo viaggio.
O forse erano semplicemente voci provenienti dall’intimo, dall’anima,, e alla ricerca di qualcosa di concreto su cui appigliarsi.
Ripiombando nella realtà, lo sbarco a Johannesburg è stato un po’diverso da come lo immaginavo, in verità anche parecchio sofferto provenendo dall’estate italiana; infatti, mentre scendo le scale che mi portano al bus, tra il vento e il sibilo dei motori, un brivido mi percorre…ci sono 7 gradi, non l’ideale da affrontare con l’abbigliamento estivo.
Inoltre, sono abbastanza rimbambito dalle poche ore che ho dormito le due notti precedenti; quella che ho passato in buona parte alla stazione ferroviaria di Bologna, nel corso del trasferimento a Linate, e quella che mi ha portato da Francoforte, trasvolando attraverso tutto il continente, fino alla capitale sudafricana.
Comincio a fare conoscenza con gli altri viaggiatorii, mentre ci dirigiamo all’Europcar per affittare i pulmini che ci accompagneranno nel viaggio; dopo un’accurata ispezione dei nostri due mezzi nell’autorimessa, in un freddo intenso,eccoci in strada.
Ci dirigiamo subito fuori dalla città, ho un po’ freddo e ho sonno, per adesso non guido. Dopo una breve sosta per mangiare, dove prendiamo contatto coi generosi piatti sudafricani e con l’abitudine di portare il conto insieme a una manciata di caramelle, forse nell’intento di addolcire l’animo di colui che deve pagare, proseguiamo per un’ampia strada verso Sabie. Dovrebbe essere una strada spettacolare, ma pioviggina, si vede poco; per di più, senza nessun entusiasmo, scopriamo che alle 5.30 comincia il tramonto e che alle 6.00 è tutto buio.
La luce è vita, il buio il suo contrario. Per cui, in pulmino, pur eccitati per la novità del viaggio e per i nuovi amici appena conosciuti, navighiamo dentro un sottile velo di tristezza.
Arriviamo al lodge che ci ospita, è molto carino, stile baita svizzera, e lì assaporiamo la prima cena a base di ottima carne e di ottimo vino che serve veramente a rinfocolare gli animi, anche perché fuori fa proprio freddino.
Il giorno dopo, alla luce del sole, riusciamo finalmente ad apprezzare la bellezza montana dei luoghi. Tutto trasmette una riposante quiete, il paesaggio sembra vagamente canadese.
Andiamo subito alle Bridal Veis Falls, che raggiungiamo dopo un breve sentiero tra i boschi. Al ritorno, cominciano i primi acquisti alle povere e legnose bancarelle di souvenir locali; è una specie di frenesia, di brama di possedere chincaglierie del luogo assolutamente inutili, che non capisco e non sento.
E poi siamo solo al secondo giorno.
In seguito, attraverso una strada panoramicamente molto bella, raggiungiamo le Mac Mac Falls, altre belle cascate; si vedono di lontano, dopo un sentiero guidato tracciato sulla vetta di una collina, ma forse la cosa più interessante è un variopinto mercatino di oggettistica che sta all’inizio del sentiero, dove assistiamo ad una folcloristica discussione di due donne tra grida, sceneggiate e schiamazzi. Proseguiamo per Pilgrim’s Rest, un grazioso paesino di ex cercatori d’oro, oggi molto turistico; saltiamo la visita ai musei e alle case degli antichi coloni, invece ci concediamo una lenta passeggiata lungo il paese, fino alla chiesetta sull’altro lato, e quando torniamo scopriamo di aver parcheggiato i pulmini proprio nell’area di un fatiscente car wash, li hanno lavati e così paghiamo il servizio.
Dopo una sosta, piacevole ma non troppo breve, per il pranzo, su due assolate tavolate a Mpumalanga, percorriamo la Blide River Canyon Nature Reserve, molto bella, che culmina nella visita alle Three Rondavels, una conformazione montagnosa veramente spettacolare che consiste in 3 particolarissimi e grandiosi coni schiacciati, ai cui piedi si trova un bel lago, in un luogo spazioso, che noi osserviamo frontalmente, dalla cresta di una ripida montagna; ma abbiamo poco tempo per contemplare la selvaggia bellezza che ci circonda, facciamo appena in tempo a vedere il velocissimo tramonto prima che un velo di buio impenetrabile scenda su di noi e sui nostri pulmini.
Per dormire ci portiamo a Phalaborwa, dove, in un’accogliente “steak house” scopro la squisita, tenerissima ed economicissima“T-bone”, che sarebbe un pezzo di carne, spalmato di un velo di salsa dolciastra, a metà strada tra la nostra bistecca e la fiorentina, servito con patate o riso. ( Perché da noi non c’è?)
Il giorno dopo, entriamo al Kruger Park, il parco più grande e famoso del Sudafrica. Debbo dire che la consapevolezza di entrare in un luogo vastissimo e popolato da ogni genere di animali, anche i più grandi e feroci, che si muovono nella più completa libertà, dà una notevole emozione.
Procediamo pianissimo, cercando di individuare qualsiasi cosa che si muova tra il bush.
Siamo abbastanza fortunati, perché subito ci imbattiamo,vicino alla strada, in una giraffa, in qualche zebra, in un branco di impala; fotografiamo come forsennati, poi diventeremo più esigenti cercando l’animale meno usuale, la situazione più interessante.
In una deviazione verso il fiume, alla ricerca di un qualche incontro più ravvicinato, il pulmino si pianta nella sabbia, nonostante gli sforzi di Dario, che sta alla guida; dopo un attimo di angosciosa incertezza, prendiamo l’unica decisione possibile: scendiamo a spingere, anche se scendere è proibitissimo! C’è molta tensione; per fortuna in un attimo risolviamo la situazione e risaliamo in corsa sul pulmino. Dopo una sosta all’Olifant’s Camp, dove mangiamo qualcosa di fronte ad uno scenario grandioso di un sinuoso e ampio fiume che si perde nell’immensità della pianura, e una successiva a Letaba per un’altra visione panoramica, puntiamo decisamente al Mopani Rest Camp, dove abbiamo deciso di passare la notte.
Ma le avventure non sono ancora finite: prima, in una nuova deviazione sul fiume per osservare da vicinissimo un bel branco di ippopotami che fa il bagno a pochi metri dalla riva, riusciamo nell’incredibile impresa di tamponare in retromarcia, per fortuna solo leggermente, una vettura che si era piazzata proprio dietro di noi per assistere alla stessa scena; poi, trovati un gruppo di elefanti sull’altro lato della strada, a pochi passi da noi, Luciana ha la brillante idea di scendere per fotografare meglio, ma uno alza le orecchie, si imbizzarrisce, fa il gesto di venirci contro, è vicinissimo…per fortuna, Luciana è già risalita, Dario parte più veloce che può, sembra tutto risolto; ma, arrivati al Mopani, veniamo presi a male parole da un’inglesina che si trovava nella macchina dietro alla nostra, si era trovata bloccata tra noi e altre macchine che la seguivano, e adesso è sconvolta dalla paura e dalla rabbia per la sciocchezza che Luciana ha commesso: ”Don’t you know, that is a wild animal!”
Non si può dire altro che aveva ragione; temiamo multe salate o, magari, espulsioni sopraggiungenti, ma ce la caviamo con una bella lavata di capo al nostro tour leader, il buon Domenico. In compenso, il lodge che ci assegnano è bellissimo, in pratica un appartamento, per giunta di altissimo livello, e ottima anche la cena, quando riusciamo a trovare il ristorante disperso nel labirinto delle strade, reso ancor più inestricabile dal buio fitto che ci avvolge.
Alcuni vorrebbero fare una escursione mattutina nel campo, a piedi. Si possono fare, accompagnati da due guardie armate, una davanti e una dietro il gruppo; ma è tutto prenotato, non è possibile. Così ci accontentiamo di una sortita fuori dal campo, coi nostri mezzi, prima di colazione, durante la quale riusciamo a scorgere soprattutto una famigliola di iene al risveglio, vicino alla strada.
Partiamo, ma dopo poco ci dobbiamo dividere perché Domenico ha smarrito il cellulare e così il suo pulmino ritorna in un posto dove abbiamo fatto una certa foto e dove quindi potrebbe essergli caduto.
Noi proseguiamo, ho già preso il possesso del nostro mezzo, guido io, sembra che tutti preferiscano così.
Seguiamo una jeep scoperta dove alcune guide portano alcuni visitatori per l’avvistamento degli animali. Ad un certo punto, costoro abbandonano la strada asfaltata e prendono una strada sterrata che indica 70 chilometri a Satara, il luogo dove siamo diretti. Per la strada asfaltata ce n’erano sì e no 30, per cui sono piuttosto restio a seguirli. Però andiamo.
Ci inoltriamo sempre più in questa macchia infinita di savana. Sembra non ci sia nessuno oltre noi. E se perdiamo la strada? E se da qui non si va da nessuna parte? Non si può andare molto veloce, solleviamo un mucchio di polvere, dietro. I luoghi sono sempre più belli. Lasciamo anche la jeep, che si inerpica per una strada secondaria.
Ok, andiamo avanti da soli.
I continui sali scendi e la strada sconnessa richiedono un frequente uso del cambio. Avvistiamo diversi animali, tra i quali un bel gruppo di giraffe disseminate tra le colline e più alte degli alberi. Ma è soprattutto il paesaggio ad essere bellissimo. Alla fine, su un terreno ancora collinare, scorgiamo un grande gruppo di gnu che si sta avvicinando ad una pozza per abbeverarsi. Ci fermiamo e li guardiamo scendere da molto lontano. A volte li perdiamo di vista, finchè eccoli, sono arrivati, preceduti di poco da alcune zebre, dopo che molti impala si erano allontanati. Uno spettacolo naturale bellissimo. Completiamo il magnifico giro, vedendo soprattutto coccodrilli, e un branco di centinaia di zebre che ci attraversa la strada; poi sosta a Satara, dove ci stendiamo un po’ sull’erba mentre frotte di uccelli scendono in picchiata per strapparci letteralmente di mano quello che stiamo mangiando o quello che si è lasciato sui tavoli.
Usciti da lì, dopo gruppi di elefanti e di scimmiette che stanno sulla strada e non scappano al nostro arrivo, vedo una macchina che si ferma a parlare col pulmino di Domenico, indicando qualcosa. Scopro di che cosa si tratta quando arriviamo in un luogo dove alla nostra destra si trova una bella pozza d’acqua, con un elefante solitario. Sulla strada scorgiamo qualcosa.
Sono proprio loro! I leoni!
Dapprima due cuccioli, poi tre leonesse che puntano la pozza, forse cercando qualcosa da cacciare. Evidentemente non c’è, e si sdraiano di traverso sulla strada. Giampaolo dice che è pericoloso proseguire, quelle stanno ancora puntando, ma dopo un po’ di tempo decido che comunque bisogna muoversi. Gli passo pian piano davanti e mi fermo. La ruota del pulmino non credo si trovi a più di 10 centimetri dalla sua zampa, eppure la leonessa non accenna al minimo movimento. Mentre gli altri fotografano, i suoi occhi di smeraldo sono fissi nei miei, vicinissimi.
E’ incommensurabilmente calma, mi guarda ma non pare quasi vedermi, il suo sguardo mi trapassa il cranio perdendosi in luoghi misteriosi. Le nostre vite appartengono a piani troppo diversi.
Rotto l’incantesimo, ci lanciamo precipitosamente verso Skukuzza perchè improvvisamente capiamo che è tardi, dobbiamo assolutamente essere là prima delle 18.00, l’orario di chiusura dei cancelli. Infrango decisamente i limiti di velocità, cerco di mantenere i 90-100 orari, dobbiamo arrivare e calcolo che andando così ce la dovremmo fare. La strada sarebbe meravigliosa, ma non c’è tempo per soffermarsi a guardare. Alcune volte trovo elefanti e giraffe che mi tagliano la strada, mentre il sole sta scendendo. Il buio è un problema perché è veramente totale e i cartelli, quando ci sono, non sono in nessun modo illuminati. Abbiamo un piccolo margine di sicurezza, che però perdiamo quando ci imbattiamo in un gruppo di decine e decine di scimmie che stanno attraversando la strada, ma poi decidono di improvvisare un sit-in di protesta.
Maledizione! Fatevi da parte, bestiacce!
Quindi, mi sfugge un cartello, gli altri me lo segnalano con gli abbaglianti, torno indietro; mi accodo ad un pulmino che mi porta direttamente nel campo (alle 17.58…), poi si ferma, scendono, e… mi accorgo che non sono loro!
Poco male, torno verso la reception, e li trovo che fanno benzina. Skukuzza è molto grande, un reticolo di viuzze che ci crea diversi problemi, sempre soprattutto a causa del buio pesto. Quando, dopo il ricco buffet del ristorante, decido di tornare verso il mio bungalow, lo trovo per puro caso e dopo diversi tentativi che si basano più che altro sulle stelle come punti fermi di orientamento.
Il mattino dopo usciamo dal Kruger a Malelane e da lì, attraverso il Piggs Peak, un passo montano molto bello con spettacolari scorci panoramici, tipo svizzero, raggiungiamo lo SWAZILAND, un piccolo stato monarchico tra le montagne. Per strada incontriamo un grandissimo numero di bambini e ragazzi che, nelle loro divise scolastiche, camminano verso casa e ci salutano, invadendo anche un pò pericolosamente la strada. Non ci sono mezzi pubblici e tutti si trasferiscono a piedi, anche gli scolari, anche per molti chilometri, anche nel buio più completo, senza nessuna luce personale. A volte passeggiano soli, ma più spesso sono almeno in due: sicuramente dev’essere un buon modo per stringere amicizie…
Arriviamo a Manzini, dove c’è stato segnalato un bel mercato. L’albergo è il peggiore del viaggio e anche la cena indiana che ci viene lì servita è di livello decisamente scadente. Il mattino ci svegliamo prestissimo ma questo mercato si rivela essere molto meno interessante di quanto era stato detto; sui banchi si trovano grandi quantità di cipolle ed arance, poi c’è il reparto degli “oggetti” africani, tutti più o meno fatti in serie. Mentre mi aggiro per le bancarelle, noto un nero africano molto carismatico con certi strani abiti in mano; anche lui mi nota e mi saluta con grande calore.
Dopo un po’, mentre ritorniamo, lo incontriamo nuovamente, tutto bardato da nero africano selvaggio e col costumino per giunta, tutto intento a simulare, scalzo e per strada, una danza propiziatrice. Ha un sorriso ammaliante e contagioso.
Partiti da lì, ci fermiamo di fronte ad una scuola elementare, tutti i bambini sono vestiti di rosso e quando ci vedono scendere verso di loro accorrono tutti con grandi schiamazzi verso la rete che ci divide; essendo sopraggiunta la maestra, li fa cantare. E’ un canto molto dolce. Per ricambiare, cantiamo (malissimo) l’inno di Mameli. Loro applaudono divertiti mentre Giampaolo, individuando un soggetto particolarmente simpatico nel gruppone schiamazzante di bambini, gli chiede serafico :”What’s your name?”
Ci fermiamo anche più avanti, in aperta campagna, anche lì una decina di ragazzini accorrono immediatamente uscendo da povere baracche, ma lì c’è molta meno allegria; di corsa circondano i pulmini chiedendo qualcosa da mangiare o qualche soldo, quasi con violenza. Non c’è nessun sorriso nei loro occhi, solo l’impulso della necessità. Qualsiasi cosa gli offriamo è sempre troppo poco e non fa che aumentare l’insistenza nel chiedere. Ripartiamo guardando scomparire dietro di noi le loro povere capanne che si perdono in quegli spazi sconfinati.
Rientriamo in Sudafrica e visitiamo la MKUZI GAME RESERVE, un bel parco non tanto grande, dove si trovano alcuni luoghi nei quali è possibile scendere dai mezzi per raggiungere a piedi delle postazioni fortificate e dissimulate nella boscaglia, nei pressi di pozze d’acqua artificiali, dai quali dovrebbe essere più semplice avvistare animali. Non abbiamo molta fortuna, a parte quella di non essere assaliti durante l’avvicinamento, poiché non mi è chiaro perché lì si possa andare a piedi mentre altrove no; gli animali sarebbero poi gli stessi, fino a prova contraria…forse da queste parti sono più buoni.
Usciti dal parco, con qualche difficoltà, nei pressi di MKUZI, troviamo l’Abumadi Game Reserve, dove abbiamo deciso di dormire; i lodge sono ottimi e, dopo una buonissima, abbondante e piuttosto intima cena casalinga, preparataci dalla cuoca di colore della famiglia, l’indomani mattina abbiamo il piacere di scoprire la bellezza del luogo alle prime luci del sole, mentre un branco di facoceri staziona sotto la piscina e la zona abitativa. Il proprietario terriero, una figura che ricorda molto più Hemingway che un contadino, ci conduce a fare un giro del suo podere a bordo di due gipponi; impieghiamo un’ora e mezza, vediamo molti più animali qui che nel precedente campo, è veramente bellissimo, ogni tanto incontriamo degli inservienti che curano le piante, è come un grande giardino rigoglioso e pieno di vita. E’ un po’ come trovarsi in un Jurassik Park senza pericoli.
Ripartiamo un po’ a malincuore da questo posto così curato, ordinato, bello e fresco. Ma il luogo dove siamo diretti ce lo fa dimenticare alla svelta: Sodwana Bay, dove vediamo il mare per la prima volta… bellissimo! E’ qui che vediamo per la prima volta le onde dell’Oceano Indiano del Sudafrica e ne rimango immediatamente colpito.
Le provo anche nell’unico bagno in mare, molto divertente, del viaggio: bellissime e potenti! Ti spazzano via facilmente, sono lunghe e profonde. E’ un bellissimo posto, le dune formano una specie di baia che si estende all’infinito e poi degradano dolcemente in mare, che manifesta la sua presenza in un continuo ruggito di spuma. Al largo si trova anche la barriera corallina, dalla spiaggia si parte coi gommoni per il diving. Restiamo tutte le ore più calde, c’è il sole che è piacevole e sopportabilissimo, il cielo è completamente azzurro; quando ce ne andiamo, verso le 16.00, la marea sta crescendo ad una velocità impressionante e sconosciuta per noi europei, cancellando le orme umane e riducendo la spiaggia ad una perfetta tavola.
Non è come da noi, la natura qui è veramente protagonista, e ti ci senti dentro. E’ bellissimo!
La sera, dopo aver trovato una pizza tutto sommato decente, dormiamo a Richard’s Bay in un albergo della catena “formula uno”, siamo in tre in una camera miniaturizzata, il bagno sembra quello che c’è sul treno, arredamento compreso; è facile trovare motivi per una risata.
Il giorno dopo lo spendiamo interamente dentro l’Hluhluwe-Umfolozi Park, un parco bellissimo non tanto per gli animali, perché sinceramente ne vediamo pochi, ma soprattutto per il paesaggio, per lo più collinare, solcato da tre grandiosi fiumi; bellissimo soprattutto l’ultimo giro che decidiamo di fare, è una specie di anello, sono una quindicina di chilometri discretamente in quota, il paesaggio è totalmente cambiato, è una macchia strana con tanti colori sotto un bellissimo sole, affascinante; la strada è quello che è, debbo tirar fuori tutto quello che so sulla guida…ma lo sguardo corre per spazi infiniti!
Dormiamo a Mtubatuba, all’Hotel Paradiso, che conduce una gentilissima signora portoghese che ha sposato un italiano; per questo, dopo che l’avevamo contattata telefonicamente il giorno prima e dopo che lei, non avendo posto, si era lo stesso preoccupata personalmente di trovarci la sistemazione, ci accoglie nella nostra lingua come meglio non si potrebbe; a cena scelgo gli “spaghetti alla pummarola”, sono anche ottimi, e del pesce, per variare la pur buonissima carne.
La mattina andiamo in barca al St.Lucia Park,( io in canotta, gli altri vestiti come si andasse sulla Marmolada ), un bel parco marino dove abbiamo soprattutto modo di vedere abbastanza da vicino e a lungo sia i coccodrilli sia un ingombrante e placido gruppo di ippopotami.
Quindi proseguiamo per Durban, che raggiungiamo dopo una lunghissima digressione interna, in uno sconfinato e dolcissimo paesaggio collinare.
Si tratta veramente di una tra le più belle e grandi città del Sudafrica, con una bella e travagliata storia che annovera avvicendamenti di olandesi, boeri e inglesi, con una skyline degna di una moderna città americana; qui si trova una grande comunità indiana, qui c’è una lunghissima spiaggia ideale per il surf, qui Ghandi svolse una parte della sua lotta in difesa dei deboli.
La sera andiamo subito sul bellissimo lungomare, prima di scegliere un buon ristorante portoghese. Il giorno dopo visita ad una bella mostra d’arte africana e alla moschea, dove troviamo una solerte guida religiosa che vorrebbe spiegarci tutto, ma proprio tutto, sia di quella moschea sia dell’islam; ma abbiamo poco tempo e con una scusa ce ne andiamo. Dopo una breve visita al mercato indiano, dove si troverebbe proprio di tutto, tra cui, in un banco di spezie, una piramide di peperoncino in polvere che esibisce il cartellino “Osama Bin Laden super”, il mio desiderio e quello di altri è di passare almeno qualche ora sul lungomare; non è una giornata di sole, ma è il luogo è bellissimo e pieno di vita, di ristoranti, di negozi. Mangiamo qualcosa ammirando le evoluzioni di decine di surfisti.
Riparto un po’ dispiaciuto da questo posto, ma l’itinerario propone già la prossima tappa: Port St.Johns.
Dopo un tratto d’autostrada che corre sulla costa, prendiamo una statale che si inoltra nell’interno; attraversiamo luoghi panoramicamente stupendi, ancora in territori collinari, la strada sale e scende dai pendii dritta come un fuso o con dolci semicurve, sembra infinita, ogni tanto si incontrano piccoli paesi con le case rade e basse, gente a piedi in spazi sconfinati. E’ incredibile costatare quanto sia più bassa la temperatura rispetto alla zona costiera: è come se in pochi chilometri si fosse veramente piombati nell’inverno, c’è un vento freddo che taglia i vestiti. Ripieghiamo nuovamente verso il mare e dopo circa venti chilometri di sterrato, impegnativo anche a causa del buio e senza quasi cartelli, arriviamo alla nostra meta; ma non è facile capire dove si trovi il nostro lodge, l’indicazione “second beach” sembra quasi una presa in giro, le indicazioni dei locali sono contraddittorie. Ma alla fine ci arriviamo e troviamo sulla porta la signora che ci aspetta sorridente e a braccia aperte, evidentemente consapevole di come non sia proprio facile muoversi da quelle parti. Entriamo nel locale che è un freddo maledetto. E’ uno stanzone molto accogliente e su di un tavolo troviamo già imbandita la cena a buffet: tra le altre cose, una distesa di 15 aragoste tanto grandi, perfette e arancioni che sembrano finte. Finite queste, ne usciranno altre 15, e poi altre 15, finchè imploriamo pietà. In compenso non c’è l’acqua, la debbono andare a prendere e nel frattempo ci offrono quella piovana, lievissimamente giallognola. Dopo cena ci vengono assegnate le camere, ognuno di noi ha un lodge personale molto carino e curato; quindi facciamo un salto in spiaggia, dove, anche al buio, apprezziamo la bellezza della baia sotto la luce lunare e calpestando la sabbia bianca pulita dalla marea che si è ritirata. Due giovani lupetti corrono e saltano con noi.
La mattina dopo, finalmente alla luce del giorno, posso ammirare la bellezza del luogo dalla balconata dell’albergo, tra il fragore delle onde; non tento neanche di descrivere la bellezza di quello che vedo perché è impossibile. Però fa freddo.
Scorgo due tedesche che fanno il bagno, ma poi le focalizzo meglio e scopro che sono due ragazze del gruppo, Maura e Stefania; vorrei seguirle, ma decido di aspettare un poco, nella speranza che si apra un po’ il cielo. Dopo colazione, con Giampaolo vado per certi sentieri ad esplorare la zona: indescrivibile! Ma il cielo non migliora, anzi. Con Domenico ci trasferiamo dalla parte opposta della baia, dove un gruppo di pescatori con la canna sta tirando su dal mare degli enormi pesci per me sconosciuti. All’orizzonte, come sempre, non si scorge nessuna imbarcazione.
A malincuore parto da questo paradiso. Il tempo è proprio brutto, sembrano quelle nostre tediose giornate invernali, con quella pioggia fine, deprimente. Cominciamo a salire verso un passo montagnoso e verso Libode, nel pulmino tutti cantano ma io sono notevolmente preoccupato perché abbiamo poco carburante e non si trova nessun distributore di benzina; fortunatamente, riusciamo in qualche modo ad arrivare fino a Umtata, ancor più nell’interno, quando non credo sarei riuscito a fare 10 chilometri in più; scendiamo a pranzare in una specie di Mc Donald, in una stazione di servizio molto trafficata, fa veramente molto freddo e anche se è solo mezzogiorno fa quasi buio; sembra pieno inverno. Quando ripartiamo, manovrando col pulmino in retromarcia, dobbiamo chiedere gentilmente ad una gran massa di gente di colore di spostarsi, sono in fila per comprare la paraffina.
Arriviamo a East London che è ormai buio, siamo alloggiati in un bel B & B con camere mansardate. Usciamo la sera per andare a cena, il tempo è bruttissimo, veramente diluvia. Siamo sul lungomare, sotto raffiche inclementi di pioggia, vicinissimi al mare che sembra ancor più minaccioso, troviamo per caso un posto molto raffinato frequentato solo da afrikaners. Cena ottima a base di carne e di buon vino, come quasi sempre del resto.
Il mattino dopo la colazione è presso un albergo adiacente, a poche decine di metri, non ho preso niente da coprirmi e naturalmente vengo brutalizzato da un acquazzone tropicale, sia all’andata che al ritorno.
Facciamo rotta per Grahamstown, una città veramente interessante perché luogo di frontiera tra i coloni inglesi, i boeri e gli Xhosa, una popolazione locale, quando si affrontavano, nel XIX secolo, rubandosi vicendevolmente terre e bestiame, in una lotta per la sopravvivenza non nota a noi europei. Sarebbe un luogo piacevole da visitare a piedi, un posto dal fortissimo sapore d’Europa, ma diluvia e il cielo è molto grigio; decidiamo di entrare in un museo, a dire la verità forse più per ripararci dal tempo inclemente che per altro. Il museo però è interessante, ripercorre un po’ tutta la storia del Sudafrica.
In particolare mi colpiscono alcuni quadri, tra cui uno che raffigura una barca che porta degli inglesi a sbarcare da queste parti; sono tutti sul ponte, hanno lo sguardo attonito tra le onde veementi, non è difficile per me immedesimarmi dietro agli occhi di quei temerari che fronteggiavano, in quel momento, quell’ignoto così affascinante e così senza ritorno.
In fondo, come la vita di tutti.
Tira vento e fa freddo. Chiediamo al simpaticissimo nero che soprintende al museo, un posto dove rifugiarci per pranzo. Tra mille sorrisi, ce ne indica uno nella strada principale del posto, lo troviamo, è proprio carino, c’è il camino acceso, ( per fortuna, perchè ci vuole tutto ), e anche tanta gente; miracolosamente, si liberano i tavoli che ci permettono di sedere, si sta veramente bene, finalmente un po’ di tepore, le pareti sono ricoperte di bei murales. Ad un certo momento, ad un tavolo vicino, ad una giapponese che compie gli anni viene augurato “ happy birthday to you…”, così anche noi ci uniamo cantando, con impeto, la versione italiana. La vecchia che conduce il locale approva silenziosamente, sorridendo. Si sta bene. Di fronte al locale si troverebbe anche la chiesa più importante della città, sarebbe bello andare, ma la pioggia rende persino indistinta l’immagine della chiesa, nessuno ha voglia di fare l’eroe. Ci concediamo un po’ di tempo a gustare l’atmosfera del locale, raccontandoci qualcosa di noi.
Ripartiamo, fradici di pioggia, per Port Elisabeth. Il tempo non migliora, arriviamo all’albergo che è identico a quello di Durban, dalla finestra della camera si vede il mare impetuoso e plumbeo, anche qui si sta bene solo col riscaldamento acceso. Per cena andiamo in una vivace steak house dove salutiamo Dario, un tipo molto in gamba, simpatico e buono, che è in partenza per l’Arabia Saudita per motivi di lavoro. L’indomani lo portiamo in aeroporto, a tutti dispiace la sua partenza e i liguri gli dedicano una commovente canzone d’addio.
Proseguiamo per Jeffrey’s Bay, l’ennesimo posto bellissimo di mare, l’ennesima baia colossale, è qui che si sono svolti più di una volta i campionati mondiali di surf. Adesso ci troviamo in inverno, è nuvoloso, la spiaggia è deserta e battuta dal vento. Ma tutto questo forse ne aumenta il fascino. Ci sparpagliamo, ognuno a cercare la sua propria conchiglia.
Andando avanti, la strada si fa sempre più spettacolare, ogni tanto superiamo viadotti altissimi, ci fermiamo per una foto e soltanto a camminarci sopra ad alcuni vengono le vertigini, finchè ecco che entriamo al Tsitsikamma National Park.
Come al solito guido io, e dopo una curva sono costretto a fermarmi per la bellezza del luogo; siamo su una costa selvaggia, le onde grandiose si infrangono sulle rocce con un rombo di tuono. E’ semplicemente meraviglioso. E’ un posto che suscita fortissime emozioni. Prendiamo possesso dei nostri lodge, bellissimi ma gelati, a non più di 10 metri da dove si infrangono le onde. E’ stupendo, anche se l’umidità penetra profondamente nelle mura e anche nelle ossa. Facciamo in tempo a fare un breve trekking che ci porta a superare un ponte tibetano sul mare, bellissimo. Per l’indomani mattina, abbiamo deciso di fare un piccolo tratto dell’Otter Trail, un sentiero scosceso e famosissimo in Sudafrica che costeggia il mare, tra gli scogli e una frondosa foresta; per questo mi sveglio prestissimo, al mattino, anche a causa di un poderoso rombo di tuono che credo essere un furioso temporale ma poi scopro essere semplicemente il mare.
Partiamo, di buona lena, che è ancora buio. La bellezza che ci circonda invoglia a cantare. Dopo un tratto piuttosto difficoltoso sopra gli scogli, aggrappandoci con mani e piedi, dopo un paio d’ore, arriviamo ad una bellissima cascata di un fiume che si getta direttamente nel mare, in uno di quei posti dove la natura dà il meglio di sè. Il ritorno è ancor più bello, alla luce del sole che sta sorgendo. Però arrivo che sono sudato fradicio, il maglione è insieme indispensabile ma di troppo. Dobbiamo lasciare le camere alla svelta, ed è piacevolissima la colazione nel punto di gran lunga più bello del parco, col sole che ci accarezza lieve.
Siamo già dentro la bellissima e famosissima Garden Route, lo sguardo scorre veloce tra ondulate colline, immense e piene di verde, a coste schiumose. Ogni tanto, è impressionante il contrasto tra le case verso il mare, a sinistra della strada, villette curatissime tra il verde che ricordano molto Beverly Hills, e incredibili baraccopoli di legno e lamiera a destra della strada, un universo di profonda miseria e povertà; spesso è possibile scorgere schiene ricurve di neri seduti sulla porta, la testa ciondoloni. E’ una cosa che lascia interdetti.
Questi due mondi si fronteggiano da chissà quanto tempo, divisi solo dal nastro d’asfalto della strada.
La prossima tappa è Mossel Bay, un posto molto tranquillo con una bellissima baia fantastica per il surf. I primi visitatori furono Bartolomeo Diaz nel 1488 e quindi Vasco de Gama nel 1497; da allora molte navi si fermavano qui per fare i loro rifornimenti e per fare baratti coi Khoikhoi. La baia è bellissima, anche se appare quasi deserta, disabitata. Di particolare qui c’è un albero antico che era usato come luogo di raccolta della posta, gli equipaggi delle navi che andavano verso est depositavano qui le loro lettere che poi erano raccolti dagli equipaggi di quelle navi che tornavano in patria. Ma non si vede veramente nessuno in giro. Sembra quasi una città fantasma, mentre la superiamo osserviamo la bellezza e la misura della chiesa principale.
Cominciamo ad essere notevolmente a sud, il paesaggio comincia a farsi ancor più grandioso e più bello.
Arriviamo a Swellandam, il luogo dove abbiamo deciso di passare la notte. L’albergo è un piccolo gioiello in miniatura dove si respira un’atmosfera molto raffinata, con tanto di piscina nel patio. Ottima cena al tepore di un caminetto e a lume di candela e ancor più spettacolare colazione, curatissima, con un cameriere di colore che ci propone cocktail spettacolari con lo yogurt e i corn flakes; si sta proprio bene in quell’ambiente prezioso e raccolto, anche perché il tempo fuori è proprio invernale.
Ma partiamo, la meta è un nuovo parco marino: De Hoop. Guido io, il tempo pare pessimo. Prendiamo una strada sterrata e in pochissimo tempo i nostri mezzi si ricoprono di fango. Il paesaggio che ci circonda è sempre più stupendo e affascinante, lo sguardo si perde in prati infiniti, spesso cosparsi di gialli fiori. Il tempo migliora un po’, almeno non piove più. Improvvisamente scorgiamo alla nostra destra prima uno struzzo, poi qualcuno di più; ci fermiamo e scendiamo per vedere da vicino questi curiosi e grandi animali. Quello che accade poi è difficile da descrivere: evidentemente gli struzzi pensano che siamo lì per dargli qualcosa da mangiare, corrono da distanze incredibili, li vediamo arrivare da lontanissimo in una corsa a perdifiato, quasi volando sulle smisurate e stecchite gambette, c’è qualcosa di strano e di estremamente inconsueto in questa scena, sembra quasi di essere dentro il film “Jurassik Park”, con tutti quegli animali stravaganti.
In breve tempo sono moltissimi che ci guardano da pochi passi, sono curiosissimi e buffissimi, ci guardano fissi mentre li fotografiamo tra mille schiamazzi. Poi ancora via, in mezzo a questi campi gialli, in un paesaggio di colline ondulate che ricorda un po’ una toscana ciclopica, c’è quella stessa bellezza però infinitamente moltiplicata. Ogni tanto troviamo un ranch, nel vuoto e nel silenzio. La strada corre in un fiume di bellezza dipinta fuori dal tempo. Mentre il pulmino corre davanti alle nuvole di polvere, mentre si snocciola davanti ai miei occhi il nastro dello sterrato che vola in mezzo e sopra a sguscianti colline, mi trovo di correre a piedi nudi ai bordi della coscienza.
Entriamo nella riserva di De Hoop, accolti da un simpaticissimo guardiano di colore. Scendiamo verso il mare e scorgiamo le caratteristiche dune di sabbia di questo posto, sembrano piccole montagne di neve, nonostante la giornata grigia. Arrivati nel punto di avvistamento, mentre stiamo ancora procedendo per il sentiero, nella brughiera, verso il mare, le scorgiamo; sono proprio balene! Basta un po’ d’attenzione, sono tantissime, si vedono chiaramente le loro schiene che di volta in volta emergono dall’acqua, le soffiate di vapore caratteristiche, di tanto in tanto qualche tuffo spettacolare; è bello stare lì, sia per la bellezza del luogo sia per lo spettacolo a cui stiamo assistendo, senza pericoli. Dall’ultimo scoglio, raggiunto con qualche rischio di essere travolto dagli sbruffi delle onde ruggenti, mentre fisso il mare per cogliere il momento nel quale la balena si rende più visibile, è molto facile perdere lo sguardo nella grandiosità naturale che ci sovrasta, è molto facile respirare una dimensione grandiosa ma, nonostante questo, certo non estranea dalle profondità del cuore.
Mentre le ragazze ci richiamano con grida e ampi cenni per andarcene, io, Gianluca, Domenico e Giampaolo le guardiamo di tanto in tanto, per un po’, senza per questo vederle, senza muoverci, navigando in uno spazio mentale che, spalancato così d’improvviso, ci assorbe. Alla fine ritorniamo ai pulmini, scavalcando la piccola duna di sabbia imbiancata e voltandoci frequentemente indietro, verso il mare, tentando di scorgere ancora i grossi cetacei che infatti, di tanto in tanto, sbuffano acqua vaporizzata.
Percorrendo la strada a ritroso, usciamo da De Hoop e ci immergiamo totalmente in un paesaggio tanto spettacolare quanto infinito, fatto di rettilinei polverosi senza fine gettati tra due colline, di verdi pascoli recintati, di silenzio e di bellezza, mentre i mezzi corrono veloci, cercando di ridurre distanze che si ripropongono continuamente dopo ogni curva, dopo ogni collina; sembra proprio di trovarsi in “Overland”, coi pulmini-camion che corrono in modo spettacolare verso l’essenza del viaggiare.
La meta è Cape Agulhas, vale a dire il luogo dove si incontrano oceano indiano e oceano atlantico. Lì, proprio lungo l’immaginaria linea spartiacque, sulla terraferma, si trova una targa che segna il confine; secondo alcuni, si vede una differenza netta tra i due mari, però io non sono stato capace di vederla. Mah. Boh. Forse. A me sembravano la stessa cosa. Però il posto è veramente speciale, si avverte benissimo qualcosa di particolare, che si è nel punto più a sud dell’Africa; il paese a me ricorda moltissimo un paesino norvegese, le case sono piccole e colorate, poca vita attorno, non mi è difficile ricordare Capo Nord, l’atmosfera è più o meno quella, c’è anche il grande faro. Qui le foto sono di prammatica, c’è il sapore di una meta raggiunta.
C’è anche il brivido pensando che al di là di quelle onde, parecchio più in là, c’è soltanto il Polo Sud.
Ma il viaggio non prevede pause e, dopo una breve sosta per uno spuntino eccoci di nuovo in marcia; stavolta la meta è Hermanus. Dopo molti chilometri nel bellissimo paesaggio più volte descritto, incomincia lo sterrato che si fa sempre più impegnativo; finchè arriviamo in un punto dove il terreno, nei tratti ombrosi, si fa decisamente fangoso, si scivola e noi arriviamo lì proprio sull’abbrivo di una velocità sostenuta, in discesa; il pulmino sbanda notevolmente, per un attimo mi si ghiaccia il sangue, ma con un deciso controsterzo riesco a controllarlo senza problemi. Negli specchietti, vedo che Gianpaolo fa lo stesso col suo. Dopo un po’ arriviamo in paese, è quasi l’imbrunire quando prendiamo possesso delle stanze. Il nostro albergo è particolarissimo, le camere appaiono antiche e un po’ malmesse, i servizi appena decenti, però il complesso non c’è male, c’è una specie di salotto con camino molto particolare dove si respira una bellissima atmosfera. Dopo la serata in una specie di steak house sul mare (che non vediamo perché è troppo buio), ce ne andiamo a dormire perché il giorno dopo è prevista un’alzata mattutina per scorgere le balene: infatti Hermanus è uno dei più famosi posti di avvistamento del Sudafrica. Giampaolo ed io usciamo che è ancora buio. Pian piano, mentre mi avvicino al punto panoramico, mi rendo bene conto che quello che mi si presenta è probabilmente il luogo di mare più bello che io abbia mai visto!
Fantastico!
E’ una specie di baia gigantesca circondata da un circolo montano spettacolare; il mare, di un blu cobalto, lievemente increspato, riflette la luce del sole che cerca di ergersi da dietro le vette prospicienti. Noi ci troviamo su una specie di pianoro di roccia soprelevato, a circa 50 metri sul livello delle acque, e il vento ci porta il fragore delle onde schiumose che si infrangono.
E’ una visione mozzafiato. Anche perché, sopra di noi, sta prendendo corpo un cielo blu intensissimo che scolorisce le stelle e, dopo diversi giorni, completamente senza nuvole; finalmente…
Per di più, in breve scorgiamo attorno a noi la presenza di certi enormi e grassi topastri, (alcuni li chiamano nutrie), che si materializzano in cerca di qualcosa da mangiare; mentre a poco a poco, alla spicciolata, arrivano anche gli altri componenti del gruppo, a mano a mano che si svegliano, mentre scorgiamo le schiene delle balene, lontanissime da noi, non si può evitare di pensare alla bellezza di tutto ciò che ci circonda, alla bellezza del mondo che troppo spesso dimentichiamo o affoghiamo nell’indifferenza.
Inebriati da tutto questo, dopo colazione, decidiamo il programma della giornata; purtroppo, a maggioranza, a causa delle tante possibili mete che ci si presentano, viene bocciato il giro in barca per vedere da vicino le balene.
Troppe donne votanti. Pazienza.
Arriviamo a Bettys’s Bay, a Stony Point, dove c’è una colonia di pinguini; anche questo posto è bellissimo, come ho già capito che è lo standard da queste parti, però i pinguini che si trovano qui sono una mezza delusione; vivono trincerati in un’area delimitata da un reticolato, come dimensioni sono circa la metà rispetto ai pinguini artici e per di più se ne stanno immobili, mezzi ingobbiti e tristi cercando anche di ripararsi dal vento furioso che batte senza posa sulla spiaggia; per di più assistiamo impotenti ad un pestaggio selvaggio di un piccolo, dal manto tutto rovinato, messo in pratica da adulti impietosi. Chissà perchè.
Me ne vado ripensando alle balene perse. Ne vediamo altre dalla strada, mentre passiamo per zone costiere sempre più spettacolari.
Siamo nella zona vinicola e ci fermiamo per pranzo a Blaauwklippen, un posto carino, un parco erboso dove si trova una cantina e dove c’è la possibilità di mangiare all’aperto e di degustare molti ottimi vini; dopo pranzo scherziamo anche un po’ sul prato, un pochino alticci, prendendoci tutto il sole di questa meravigliosa giornata.
Tutto bello, ok. Ma i vigneti che dovevamo visitare dove sono?
Boschendal è un posto molto piacevole da vedere, dove si trova un’antica casa coloniale olandese perfettamente conservata che visitiamo; anche questo è un importante luogo di produzione vinicolo.
In serata siamo a Stellenbosch, una cittadina molto carina e vivibile, con una specie di piazza rettangolare abbastanza insolita per questo paese e con una fiorente università; fondata del 1679, è la città più antica del Sudafrica dopo Cape Town, ed è uno degli insediamenti meglio conservati, piena di palazzi in stile olandese del Capo.
Dopo una cena in un locale raffinato, eccoci, il mattino dopo, in partenza, per la meta conclusiva del viaggio: Cape Town, oppure Città del Capo se la vogliamo chiamare all’italiana.
E’ una splendida giornata di sole e così possiamo apprezzare al meglio gli splendidi scorci di grandiosa bellezza che si susseguono lungo la costa; appena entrati in città, ci dirigiamo subito alla partenza della funivia, al momento purtroppo fuori uso, per la Table Mountain, ovvero quella grandiosa montagna che sovrasta tutta Cape Town e che si trova in tutte le foto panoramiche. Da lì, mentre già si comincia ad apprezzare la bellezza del luogo, decidiamo di dividerci in due gruppi, ciascuno col suo pulmino, perché ci sono due diversi programmi sulla giornata che si prospetta.
Io sono con quelli che decidono di salire a piedi sulla montagna.
C’è un sole caldissimo, la salita sembra ad occhio molto ripida e così, prima di affrontare la salita e di caricarmi sulla schiena lo zaino, mi denudo il petto suscitando l’ilarità dei soliti freddolosi. Effettivamente il primo tratto è proprio piuttosto duro, per di più il sentiero sassoso è fortemente irregolare, si cammina un po’ a fatica; però, ogni volta che mi fermo e che guardo la baia e che mi si staglia sotto di me sempre più nitida, col procedere del sentiero, mi sento abbondantemente ripagato di ogni fatica. E’ semplicemente bellissimo! Arrivati ad una biforcazione, proviamo ad andare a sinistra, nella speranza di raggiungere la vetta; purtroppo però, confrontandoci anche con un gruppo di americani che stanno tentando la nostra stessa impresa, scopriamo che è impossibile, bisognerebbe essere veri alpinisti per superare l’ultimo tratto di roccia perpendicolare. Così ritorniamo indietro fino al bivio, stavolta andiamo a destra per raggiungere una specie di spiazzo di roccia, proprio sul crinale est della montagna, a pochi metri dalla vetta; da lì si ha una veduta panoramica immensa, non soltanto sulla città e immediatamente capisco che quello che sto vedendo è una delle cose più stupefacenti che mi sia mai capitato di vedere in tutta la mia vita.
Un’immagine di una tale meraviglia che non dimenticherò mai!
Riprendiamo il pulmino e, attraversando la città, ci dirigiamo verso il Capo di Buona Speranza (Cape of Good Hope); è una giornata magnifica, il cielo è blu intenso mentre cominciamo ad ammirare ogni curva della stupenda costa della penisola del Capo. Ad un certo punto sbagliamo strada, o forse era la strada giusta ma al momento impercorribile perché interrotta forse da una frana, e ci troviamo dentro al set di un film; infine dobbiamo ritornare indietro, non prima di aver apprezzato un magnifico scorcio panoramico. E’ una giornata veramente molto piacevole, e scorre a fiumi l’allegria e il buon umore. Dopo una sosta per un toast, finalmente, nel pomeriggio, arriviamo al Cape of Good Hope Nature Reserve; qui si trovano anche zebre e scimmie. E’ un parco molto bello che declina in mare, noi lo percorriamo veloci, senza incontrare nessuno fino alla punta del capo. Qui si trova un punto nel quale tutti vogliono farsi la foto, c’è la fila, mentre attorno romba il mare spumeggiante.
Ci troviamo in uno di quei luoghi che, come Capo Nord, occupano uno spazio nella mente, uno spazio di confine, un limite di coscienza: qualcosa di memorabile, c’è qualcosa che non ti permette di dimenticare quello che stavi pensando quando eri lì o cos’hai fatto.
Dopo aver sostato un attimo, salgo sulla cima di una montagna lì vicino, c’è una vista mozzafiato sulla zona di mare circostante, ci sono anche alcuni ragazzi che stanno sdraiati e si sporgono sulla cima per guardare giù. Sembrano molto divertiti; ma, in effetti, è una vista quasi da capogiro!
Respiro a pieni polmoni, mi perdo fin dove si spinge il mio sguardo, sognando di vedere, al largo, qualche nave in balia delle onde; ma, come ovunque in Sudafrica, non si vede nessuna imbarcazione all’orizzonte.
E’ lo stesso, è bellissimo lo stesso.
Riprendiamo il pulmino per raggiungere Cape Point, un luogo meravigliosamente panoramico dove si trova il faro, c’è anche una bella passeggiata in salita per andare su. Da qui lo sguardo abbraccia spazi ancora maggiori, in quest’altra vista mozzafiato crediamo di vedere anche la Table, è sicuramente lei, in mezzo a tantissime altre montagne che danno sul mare. Siamo proprio sotto il faro che tanti marinai hanno sognato di vedere.
Dribblate alcune scimmie che, nel parcheggio, digrignano i denti abbastanza spaventosamente alla ricerca di cibo, ritorniamo felici, abbronzati e con la consapevolezza di aver vissuto una bellissima giornata.
Per la sera ci vogliamo proprio concedere una full immersion nella realtà africana e così decidiamo di andare in un ristorante tipico, l’African Cafè, uno di quei posti molto caldeggiati da una guida intelligente come la Lonely Planet.
Il ristorante si trova vicino a casa nostra, lo raggiungiamo in un attimo, per strada non c’è nessuno; ci sono due guardie armate che ci aspettano, ci fanno parcheggiare e ci assicurano la loro supervisione.
Il posto è proprio carino, ci sono solo neri, ci fanno accomodare nella sala in alto e, prima di mangiare, viene una bambina con un po’ d’acqua dove dobbiamo lavarci le mani; sembra sia una specie di usanza africana prima del pasto. Ci servono 15 portate a prezzo fisso, ognuna viene da un particolare stato dell’Africa, così sembra quasi di poter usufruire di una cucina cosmopolita; sinceramente mi avvicino a questa cosa con molti pregiudizi, ma alla fine debbo ammettere che non è male, ci sono cose buone, cose meno buone e cose decisamente povere e scadenti come le ali di pollo fritto. Sarebbe giusto, l’Africa è anche questo, anzi, soprattutto questo. Però, ad un certo punto, si sente come un canto che proviene dalle stanze adiacenti, prima incerto, poi sempre più convinto; sono i camerieri che, simulando movenze feline e voci vellutate, fingono una danza africana: questo mi fa andare di traverso tutto quello che ho mangiato e mi fa desiderare fortissimamente di non essere mai andato lì.
Roba da villaggio turistico. Va beh, peccato.
Il giorno dopo ancora bel tempo e decidiamo di visitare il Kirstenbosch Botanical Gardens, bellissimi, situati in una posizione insuperabile sul versante orientale della Table Mountain, pieno di una miriade di piante diverse; si passeggia in questo campo enorme, fortemente declinante, ammirati ad ogni passo per qualche fiore esotico, per qualche albero strano. Sotto si stende la città; un posto che si fa fatica, poi, ad abbandonare. Quindi, un breve giro della città per vedere che non ci sono particolari bellezze architettoniche, al massimo si trova qualche palazzo del ‘700 non particolarmente attraente, come la biblioteca nazionale o il palazzo del governo.
Sul tardo pomeriggio saliamo a Signal Hil per vedere il tramonto e per fare un brindisi al nostro viaggio che volge al termine; è una delle colline che domina la città, dalla cui vetta si gode di un panorama praticamente a 360° su tutta la zona; memorabile anche il tragitto di ritorno, con la strada che scende a precipizio sul Cape Town, illuminata dalle luci notturne.
L’ultimo giorno visita a Waterfront, la stupenda e folcloristica zona portuale, dove si trova anche la zona più nuova di negozi; lì, accanto al ponte girevole, abbiamo la sorpresa di vedere le otarie sdraiate sulle banchine e accanto alle navi che, dopo essersi un po’ stiracchiate, si tuffano in mare e nuotano con graziose evoluzioni nell’acqua per la verità non molto bella del porto. Giampaolo ed io visitiamo anche l’acquario (non grandissimo ma molto completo, termina con uno spettacolare vascone tipo piscina, che è possibile visitare anche percorrendo canali interni all’acqua, dove è possibile ammirare da vicinissimo poderosi squali che nuotano senza un movimento attraverso tantissimi altri pesci giganteschi) e il museo marittimo (per la verità non bellissimo, uno stanzone enorme tipo hangar dove si trovano molti modelli di barche e navi, qualche foto dell’epoca e pezzi di sommergibile).
Quindi ci troviamo con gli altri nel luogo che avevamo prestabilito, presso il ponte, e ci imbarchiamo per Robben Island, un’isola a circa un’ora dalla costa ora dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità nel 1999, non perché sia bella, ma perché qui si trovava il più importante e famoso campo dei prigionieri politici del Sudafrica ai tempi dell’apartheid. E’ anche una giornata nuvolosa, ventosa e freddina, quando sbarchiamo siamo un po’ stralunati, anche perché sui muri che racchiudono il porto si trovano bellissimi murales fotografici che ritraggono i prigionieri ispezionati all’arrivo: non so perché, forse per il grigiore che mi circonda, sento vagamente il clima del giorno che arrivai a Como, per il C.A.R.
Senza che nessuno ce lo dica ci infiliamo su un pullman che ci attende, un ragazzo di colore prende la parola e ci spiega, quasi metro a metro, quello che stiamo vedendo; è forse un racconto fin troppo dettagliato, in realtà non c’è tantissimo da vedere a parte una serie di baracche e una specie di cava dove i prigionieri andavano a spaccare le pietre.
Finiamo in un cortile dove una ex-ergastolano di colore, con una gestualità teatrale e un accento inglese per me, francamente, assolutamente incomprensibile, ci spiega qualcosa della vita di laggiù; certo, doveva essere dura. Ma cosa c’era da aspettarsi, del resto? Era una prigione. L’ex-ergastolano finalmente termina il suo soliloquio, mi avvicino ad una grande foto appiccicata al muro del cortile che sembrava ritrarre qualcuno parlare in quel luogo con Cassius Clay; macchè, vedendolo da vicino mi accorgo che non è lui.
Poi entriamo tutti a visitare la cella dove per 18 anni è rimasto rinchiuso Nelson Mandela; non c’è praticamente niente da vedere, è un posto piccolissimo e spoglio, ma tutti sono in fila per fare la propria bella foto. Mi sembrano quelli che sbarcano in qualche bella spiaggia per rubare la sabbia. Una cella vuota è solo una cella vuota, la storia è già passata.
Usciamo tutti un po’ a capo chino, effettivamente è un luogo triste, soprattutto perché trovo sia svanita anche l’atmosfera che avevano promesso di farti respirare.
E’ semplicemente un luogo morto.
Da lì me ne vado volentieri, sulla barca veloce resto fuori per respirare il vento gelido che mi frusta, guardando certe onde che improvvisamente si materializzano minacciose e il profilo di Cape Town che pian piano si avvicina.
Nelle facce di tutti vedo un velo di smarrimento per la fine di uno di quei viaggi che riempiono l’anima di tante cose difficili da dimenticare.
Resta solo il brindisi e i ringraziamenti, in un bellissimo locale sul Waterfront.
 
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view post Posted on 13/12/2008, 09:22

NYPD

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Azzo Julius, molto interessante. Questa volta però non hai cantato l'inno italiano.... :lol:

Il Sudafrica è davvero uno dei posti che vorrei visitare. Ne parlavo proprio ieri sera con i miei compgani di squadra... Dello Swaziland, possiedo una banconota bellissima....
 
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view post Posted on 13/12/2008, 10:12
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called for travelling

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ammazza, julius, ma quanto ci sei stato in Sudafrica? hai visitato veramente un tot di posti...
se mai ci andrò, ti chiederò delle dritte.

certo che uscire dall'auto in presenzadi elefanti è davvero da deficenti.
l'ha fatto un paio di mesi fa un mio compaesano in Namibia per fotografare un piccolo elefante. non si era accorto che alle sue spalle si stava avvicinando la madre che lo ha preso e stritolato con la proboscide ma poi l'ha lasciato. è riuscito a tornare in auto e fuggire. al primo camp l'hanno portato in elicottero all'ospedale, dove credo sia tutt'ora. diverse costole rotte e qualche problema con la spina dorsale ma sembra che alla fine ne uscirà a posto. è finito sulle prime pagine dei quotidiani della Namibia perché è molto raro che qualcuno sopravviva ad un attacco del genere.
 
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view post Posted on 13/12/2008, 10:15

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CITAZIONE (bosforo65 @ 13/12/2008, 10:12)
ammazza, julius, ma quanto ci sei stato in Sudafrica? hai visitato veramente un tot di posti...
se mai ci andrò, ti chiederò delle dritte.

certo che uscire dall'auto in presenzadi elefanti è davvero da deficenti.
l'ha fatto un paio di mesi fa un mio compaesano in Namibia per fotografare un piccolo elefante. non si era accorto che alle sue spalle si stava avvicinando la madre che lo ha preso e stritolato con la proboscide ma poi l'ha lasciato. è riuscito a tornare in auto e fuggire. al primo camp l'hanno portato in elicottero all'ospedale, dove credo sia tutt'ora. diverse costole rotte e qualche problema con la spina dorsale ma sembra che alla fine ne uscirà a posto. è finito sulle prime pagine dei quotidiani della Namibia perché è molto raro che qualcuno sopravviva ad un attacco del genere.

Un fenomeno. Del resto, in Romagna, amano il brivido....
 
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julius6
view post Posted on 13/12/2008, 15:37




CITAZIONE (bosforo65 @ 13/12/2008, 10:12)
ammazza, julius, ma quanto ci sei stato in Sudafrica? hai visitato veramente un tot di posti...
se mai ci andrò, ti chiederò delle dritte.

certo che uscire dall'auto in presenzadi elefanti è davvero da deficenti.
l'ha fatto un paio di mesi fa un mio compaesano in Namibia per fotografare un piccolo elefante. non si era accorto che alle sue spalle si stava avvicinando la madre che lo ha preso e stritolato con la proboscide ma poi l'ha lasciato. è riuscito a tornare in auto e fuggire. al primo camp l'hanno portato in elicottero all'ospedale, dove credo sia tutt'ora. diverse costole rotte e qualche problema con la spina dorsale ma sembra che alla fine ne uscirà a posto. è finito sulle prime pagine dei quotidiani della Namibia perché è molto raro che qualcuno sopravviva ad un attacco del genere.

In Sudafrica andai nel 2002.
Non sono particolamente appassionato di animali; ma questo viaggio, così a contatto con loro, devo dire che mi è piaciuto moltissimo. Sinceramente, devo dire che mi sono piaciuti, più che altro, i magnifici posti che ho visto.
E quando dico MAGNIFICI, credimi, perchè è veramente così! :B):

Viaggiando con Avventure si incontra di tutto: sia tipi tostissimi, che magari hanno già fatto 20-25 viaggia attorno al mondo e ti raccontano storie incredibili, sia delle zitelle, "invornite" dure, che vengono senza avere la minima idea concreta di cosa le aspetta e di che cosa stanno facendo.
Così, capita di avere nel gruppo una scema che per fotografare meglio un elefante gigantesco, selvaggio e incazzato che sta a 10 metri da te, come niente fosse scende dal pulmino e, con tutta calma, si mette in posizione e fa la messa a fuoco. Mi spiace per il tuo compaesano stritolato: però certa gente non dico che lo meriterebbe, ma insomma, almeno un bello spavento gli starebbe benissimo! Il fatto è che, a volte, costoro mettono in pericolo anche gli altri.... :cry:
Invece, secondo me, colui che viaggia dovrebbe avere ben presente alla partenza i rischi che corre e come fare per cercare di renderli innocui: perchè il viaggio è uno svago formidabile, è un impareggiabile avventura, ma va affrontato con la giusta consapevolezza.
Altrimenti, sarebbe meglio affittare un posto in una bella pensioncina di Rimini: che, tra parentesi, potrebbe offrire i suoi bei vantaggi e le sue piacevolezze...! :rolleyes:
 
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view post Posted on 16/1/2009, 20:25
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finalmente ho finito di mettere a posto le foto del viaggio negli Stati Uniti di ottobre/novembre scorsi.
eccovene alcune delle mie preferite

Zion National Park: il bordo di un canyon
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gli hoodos del Bryce Canyon
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veduta di "Park Avenue" nel Natural Arches National Park
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view post Posted on 20/1/2009, 10:26
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called for travelling

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continuo con le foto degli Stati Uniti

tramonto nei pressi del Delicate Arch (Natural Arches Natural Park)
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spettacolare veduta da Dead Horse Point
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Monument Valley
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view post Posted on 28/5/2009, 20:26

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Ragazzi, domani l'altro parto per questa destinazione.


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Per cortesia esiste il cellulare ed esistono anche gli sms. Grazie...... :0029018.gif:
 
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cisio
view post Posted on 28/5/2009, 20:34




Vai col Sabba? :lol:
 
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view post Posted on 30/5/2009, 06:25

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CITAZIONE (cisio @ 28/5/2009, 21:34)
Vai col Sabba? :lol:

Fortunatamente no, a meno che non abbia avuto la mia stessa idea! :lol:

Ragazzi, questo è l'ultimo messaggio. Un ciao a Tutti, un "in bocca al lupo alla Virtus" e ci rivediamo tra circa 8/9 giorni. Chi ha il mio numero di cellulare è pregato, sin da ora, di tenermi aggiornato su ulteriori sviluppi.
 
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view post Posted on 30/5/2009, 15:28
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visto che Franz68 non può leggere il forum e può venire a conoscenza dei fatti virtussini solo tramite i nostri sms, che ne direste di architettargli uno scherzo?
ovviamente ci mettiamo d'accordo nel dargli tutti la stessa versione, approfittando di questo thread così al ritorno potrà anche leggere quanto ci siamo divertiti alle sue spalle.

preferite l'ipotesi catastrofistica (Sabatini ha deciso di partire dalla A Dilettanti con Sanguettoli coach e Lauwers, Lestini e Moraschini in quintetto) oppure quella mirabolante (Dorigo ha concluso l'acquisto in tempi record: già firmato Nesterovic e confermato Langford - non esagererei sennò mangia la foglia)?.
 
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view post Posted on 30/5/2009, 17:20
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Diciamogli che Sabatini ha acquistato la Fortitudo... :lol:
 
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